Antonio De Bonis
Come fronteggiare la perdita di democrazia e salvare lo Stato
Come mai il governo parlamentare, per la cui conquista, appena cinquanta o sessant'anni or sono mezza Europa insorse, ed i pacifici borghesi armati di vecchi fucili e di spade arrugginite affrontarono le baionette dei soldati, i rigori dei tribunali statali, la forca, la galera, quando non incontrarono la morte combattendo sulle barricate; come mai il governo parlamentare è caduto in un così grande ed irreparabile discredito?
Perchè il discredito è grande ed irreparabile, non nella sola Italia, come si piacciono a declamare alcuni arrabbiati disprezzatori del proprio paese, ma quasi dappertutto, senza differenza di razza:
il Parlamento Francese (di razza latina) disonorato dagli scandali di Panama e da quelli più recenti del processo Dreyfus,
non offre uno spettacolo meno deplorevole della Camera Americana (di razza Anglo-Sassone) dove i re dei miliardi esercitano la più spudorata corruzione, come afferma il Bellamy, nel suo libro Eguaglianza;
il Parlamento Austriaco (di razza germanica-slava-italica, e chi più ne ha più ne aggiunga) dove i deputati son venuti alle mani, come carrettieri, usando invece d' argomenti, pugni, schiaffi e calci, riabilita il Parlamento Italiano, con le sue commissioni d'inchiesta, e le frequenti scenate.
Soltanto l'Inghilterra si salva dal discredito, benché anche il Parlamento Inglese stia in decadenza. Ma l’Inghilterra è una nazione felice ed eccezionale, grazie al suo grande spirito pratico. Negli altri paesi si fa tutto per salti, quei salti, che a dir degli scienziati, sono aborriti dalla natura: in Inghilterra invece le istituzioni si continuano, svolgendosi a traverso i secoli.
La Rassegna Italiana, Fernando Nunziante, marzo 1898.
Questo testo è di per sé un manifesto scienza politica alta, quella che spesso, soprattutto oggi nei volumi e nei nomi altisonanti spesso non si trova e che tanto manca.
Tuttavia, quest’aspetto, ascrivibile alla sfera dei cultori della materia, per quanto mi riguarda cede rapidamente il passo ad alcune considerazioni.
Nel testo rileviamo riflessioni storiche politiche e sociali di circa un secolo e mezzo fa; non trenta o quaranta anni. Non è questione di Prima o di Seconda Repubblica, e non è neanche questione di Nazionalità.
Il tema è più profondo ed attiene al ruolo e capacità della democrazia liberale e borghese-capitalista di risolversi nella capacità di gestire le relazioni sociali e interstatali.
E’ chiaro che in tanti decenni la democrazia ha subito processi di adattamento, ripiegamento e nuove impennate vitali, ma è altrettanto vero che i suoi mali profondi sono sempre gli stessi e il Parlamentarismo con le sue crisi cicliche ne è l’epitome.
Oggigiorno a cosa assistiamo se non ad una lunga crisi del parlamentarismo italiano, specchio storico di quello dei primi anni Venti del secolo scorso che ha condotto al fascismo?
Ne consegue che oggi come un secolo fa è la democrazia ad essere in crisi e in discussione; è attaccata da chi vede in essa un fastidioso retaggio delle guerre borghesi del secolo dei Lumi con i conseguenti portati di diritti inalienabili dell’uomo.
Aver destrutturato la politica, a partire da quel colpo allo Stato che è stata la stagione di mani pulite (volendo o non volendo), anche nella sua rappresentazione rituale sta conducendo le società occidentali verso un futuro ritorno al basso Medioevo in cui avremo nuovi imperatori, principi, e quei vassalli che oggi sono tanto bene rappresentati da quelle figure spendibili mediaticamente per lo scopo, e, infine, i sudditi, tanti e tanti sudditi.
Siamo ancora in tempo per restituire al libero e pagano arbitrio la potenzialità devastante che in epoche passate ha fatto la gloria e la fortuna di molti dei Paesi occidentali a partire non dalla Francia, Inghilterra o USA, ma proprio dall’Italia che, ad esempio, con la stagione dei Comuni si era ribellata al dominio sovra-strutturato imperiale o papale che fosse.
Il parlamentarismo può rappresentare l’aberrazione della democrazia, ma continua ad esserne il sale; dipende da chi ha in mano le leve del comando, e non del potere che è altra cosa, e la nostra Costituzione queste leve le affida al popolo sovrano.
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